Le problematiche dell'idrogeno; stoccaggio, distribuzione e costi

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A temperatura e pressione ambientale, l'idrogeno puro ha le caratteristiche di un gas. Purtroppo, ha una densità scarsissima: in condizioni standard (0° C e 1013mbar di pressione), mentre la benzina ha una densità superiore ai 710 kg/m3, l'idrogeno ottiene un magro 0,09 kg/m3.

Per ulteriore raffronto, il metano, per il quale lo stoccaggio in auto è già relativamente critico, ha una densità di 0,72 kg/m3.

Per comprendere al meglio le difficoltà di stoccaggio, questi dati vanno integrati con quelli sul potere calorifico. Per unità di massa, ovvero un kg, l'idrogeno sviluppa ben 120 MJ, contro i 43,5 della benzina e i 50 del metano.

Questo significa che un chilo di idrogeno sviluppa tre volte l'energia di un chilo di benzina. Ma non è ancora finita: a causa della sua densità, a condizioni standard un m3 di idrogeno si traduce in appena 2,97 MJ dove la benzina ne sviluppa 31000 e il metano 3,22.

In conclusione, l'idrogeno per essere utilizzato deve essere immagazzinato in modo tale da aumentarne considerevolmente la densità.

Chi ha un minimo di nozioni di fisica sa che, per aumentare la densità di un gas, o si aumenta la pressione, o si diminuisce la temperatura. Per l'idrogeno esiste anche una terza via, derivata dalla sua capacità a legarsi con altre sostanze: l'assorbimento in materiali solidi.

Le tre soluzioni hanno tutte un risvolto più o meno negativo:

STOCCAGGIO allo stato gassoso

bombole ad alta pressione di un veicolo alimentato a fuel cell
Nell'immagine le bombole ad alta pressione di un veicolo alimentato a fuel cell 

L'immagazzinamento in forma gassosa, ad alta pressione, necessita di bombole capaci di sopportare pressioni di esercizio nell'ordine dei 700 bar (ca. 10145 psi).

Per dare un'idea, gli attuali serbatoi di metano per autotrazione, realizzati in lamiera d'acciaio, hanno pressioni di esercizio pari a 220 bar e, con una capacità di 85 litri - che equivalgono a circa 14-15 kg di metano immagazzinati - pesano quasi un quintale.

Questo vuol dire che, per realizzare bombole capaci di lavorare in sicurezza a 700 bar, siamo obbligati a rivolgerci a materiali compositi: attualmente sono allo studio speciali resine rinforzate con fibre di carbonio.

Superato lo scoglio del peso e della robustezza dei serbatoi, l'immagazzinamento in forma gassosa deve scontrarsi con un altro grave handicap: l'effetto psicologico.

Ancora oggi, a sessant'anni dagli albori della motorizzazione a metano, c'è chi si spaventa nel vedere nel bagagliaio i serbatoi del gas... figuratevi se, questi stessi soggetti, sapessero di viaggiare su un'auto che trasporta bombole a 700 bar di pressione.

Fondamentalmente, la paura è comprensibile, ma nessun ente governativo omologherebbe mai bombole a rischio esplosione e i moderni serbatoi di metano (e GPL) ne sono la prova: in caso di incidente sono più sicuri di un serbatoio di benzina e, in caso di incendio, opportune pastiglie inserite nella lamiera del serbatoio, fondono gradatamente generando la fuoriuscita controllata del gas.

Quindi, ogni rischio d'esplosione è totalmente scongiurato.
Attualmente sono in fase di omologazione, presso gli enti europei e americani, serbatoi da 690 bar realizzati in acciaio, mentre, in attesa di approvazione sono le bombole in compositi.

STOCCAGGIO allo stato liquido

spaccato di un serbatoio criogenico
Nell'immagine lo spaccato di un serbatoio criogenico 

Lo stoccaggio allo stato liquido è quello che promette il miglior rendimento, ma incontra i maggiori ostacoli tecnologici. L'idrogeno, infatti, evapora a -253° C, il che vuol dire che, per mantenerlo allo stato liquido, è necessario stivarlo a temperature inferiori. Una temperatura del genere, è un traguardo non indifferente, visto che è appena 20° C sopra il cosiddetto "zero assoluto", il limite minimo di temperatura raggiungibile in natura, al disotto del quale ogni atomo, in pratica, "congelerebbe". 

Conservare l'idrogeno a temperature di quest'ordine, dette criogeniche, implica la realizzazione di una bombola dalla particolare conformazione, non molto diverso da un thermos: due serbatoi separati da una camera d'aria, magari rarefatta o, addirittura, sottovuoto. Questo, in generale.

Nello specifico, nei serbatoi criogenici per idrogeno c'è una camera interna, destinata a contenere il carburante, attorno alla quale è avvolta una serpentina, in cui circola idrogeno, in comunicazione, da un lato con la bombola e, dall'altro, con un apposito scambiatore di calore con l'aria esterna. La serpentina, a sua volta, è contenuta all'interno di un involucro, il più esterno.

La massima pressione all'interno del serbatoio, con le tecnologie attuali, si attesta intorno ai 5 – 6 bar. Siccome lo stato liquido, per l'idrogeno, non è stabile (vista la bassissima temperatura di ebollizione) per mantenerlo è necessario sottrargli calore, il che implica il consumo di una certa quantità di energia. In questo caso il consumo energetico, si identifica con una continua e controllata evaporazione dal serbatoio, ottenuta mediante lo scambiatore di calore.

I sistemi più evoluti, con bombole dal peso inferiore ai 90 kg, promettono di lavorare a 6 bar di pressione massima, limite oltre il quale danno origine all'evaporazione. Prima di superare la pressione di esercizio, questi serbatoi riescono a conservare idrogeno liquido per circa tre giorni.

Il rendimento, che uno stoccaggio di questo tipo garantisce, è elevatissimo: per fare un raffronto, ottenere la stessa densità di energia in caso di serbatoi ad alta pressione, sarebbero necessarie bombole capaci di lavorare a ben 1250 bar.

Una via intermedia, è quella dei serbatoi ibridi, in cui l'idrogeno, incamerato allo stato liquido, è libero di evaporare fino a livelli di pressione elevati. Tuttavia, per applicazioni del genere, si stanno ancora studiando opportuni sistemi di sicurezza.

STOCCAGGIO in materiali solidi

Immagazzinare idrogeno in materiali solidi, invece, è il sistema meno sviluppato e meno efficace, da un punto di vista pratico. Tale processo utilizza gli idruri metallici, che sono delle leghe che hanno la capacità di immagazzinare idrogeno e di rilasciarlo, in un secondo momento, a particolari condizioni.

Attualmente, la capacità di stoccaggio non supera il 2% del peso del serbatoio stesso e, ai fini della mobilità, si tratta di un risultato irrilevante. Il magnesio è l'unico metallo che promette una capacità di assorbimento maggiore, ma si tratta sempre di livelli prossimi al 7% e a condizione che si mantengano temperature superiori ai 250° C che, in altri termini, vuol dire spreco d'energia.

L'ultima frontiera, relativamente al rilascio di idrogeno in forma gassosa da materiali solidi, è rappresentata dal Fullerene, la molecola di forma sferica, costituita da atomi di carbonio. Il Fullerene è capace di creare "nanotubi" in grado di contenere idrogeno, ma qui siamo nel campo della ricerca pura e, comunque, entro capacità di assorbimento nell'ordine del 6% della massa.

Un alternativa agli idruri metallici è rappresentata dagli idruri chimici, in cui l'idrogeno viene scisso dall'idruro mediante una reazione chimica. Si tratta, però, di sistemi che operano in abbinamento alle fuel-cell (di cui parleremo nel prossimo capitolo) e, come quelli appena menzionati, ancora relegati alla sperimentazione pura e ben lontani da applicazioni pratiche.

DISTRIBUZIONE

Scartati, quindi, i sistemi di stoccaggio in materiali solidi, concentriamoci sulla distribuzione per l'immagazzinamento ad alta pressione e a temperatura criogenica.
L'ideale sarebbe creare una rete per la distribuzione dell'idrogeno.

Rifornimento di un veicolo ad idrogeno
Rifornimento di un veicolo ad idrogeno

Cosa non facile se guardiamo un precedente, la metanizzazione, iniziata oltre 50 anni fa e, oggi, ancora in corso in molte zone del Paese (senza contare la Sardegna che ne è pressoché priva).

Lo sguardo dei ricercatori, quindi, è indirizzato sulla produzione in loco, ovviamente mediante elettrolisi, scartando il reforming da combustibili fossili (saremmo al punto di partenza) e l'utilizzo di etanolo o metano di derivazione biologica, sistemi in avanzata fase di sviluppo e per i quali ci sono già le prime applicazioni pratiche ma che, comunque, genererebbero durante la scissione delle molecole, ossidi di carbonio.

Una volta prodotto, l'idrogeno dovrebbe essere distribuito in apposite stazioni "multifuel", capaci di erogare più tipologie di carburante nella stessa area. Nel caso di serbatoi ad alta pressione, l'idrogeno sarebbe pompato da un compressore con un processo analogo a quanto si fa col metano, cambierebbero solo le pressioni in gioco.

Più complesso il rifornimento di idrogeno a temperatura criogenica. Infatti, in seguito alla produzione, l'idrogeno gassoso deve essere raffreddato per poter essere pompato, allo stesso modo di un rifornimento di benzina, nel serbatoio.

La probabile presenza di idrogeno gassoso, in un serbatoio criogenico vuoto, implica la necessita di sigillare il contatto tra pompa e bocchettone di rifornimento in modo tale che, il gas si condensi sull'idrogeno liquido inserito, e non causi inutili perdite di combustibile.

Ma si può produrre idrogeno a costi accettabili? 

Ecco un'altro dei nodi del problema; molti dicono di no ma produrre idrogeno (per elettrolisi, ovviamente, l'altro metodo non verrà preso neppure in considerazione) può essere conveniente ; ecco le soluzioni più accreditate ed i motivi per cui sono ritenute valide e da prendersi in considerazione:

  • Idrogeno da fonti convenzionali: ovvero da energia eolica, solare, geotermoelettrica, idroelettrica e quant'altro ci venga in mente; l'energia prodotta da queste centrali infatti non è sempre utilizzata al pieno delle loro possibilità ovvero capitano momenti (ad esempio di notte) in cui l'energia richiesta è minore di quella prodotta e questo surplus, non potendo essere immagazzinato, viene perso. Se si usasse l'energia prodotta in eccesso si potrebbe produrre idrogeno a costi competitivi.
  • Idrogeno dal nucleare: diciamo la verità; quella di proibire centrali nucleari in Italia non è stata un'idea brillante; l'ausilio di centrali nucleari farebbe crollare il costo dell'energia elettrica (così come è accaduto in Francia dove, tanto per fare un esempio, l'elettricità costa così poco che si usano prevalentemente fornelli elettrici) rendendo i costi di produzione dell'idrogeno assai meno esosi.

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